Notizie tratte dal Sito del Comune di Nus (Clicca sul collegamento per approfondire)
In Valle d'Aosta, così come nella maggior parte dei territori interni
alle Alpi, le prima tracce dell'uomo sono riscontrabili solo in periodo posteriore
allo scioglimento del vasto ghiacciaio che ha dato origine alla valle principale.
La ragione di questa situazione sta nel fatto che, anche se nei momenti di diminuzione
dell'estensione dei ghiacci, gli uomini si fossero avventurati lungo le valli,
il successivo lavoro del ghiacciaio ne avrebbe eliminato le tracce. Dopo il
10.000 avanti Cristo, iniziò il ritiro del ghiacciaio. A quest'epoca,
pian piano, i ghiacciai, ritirandosi, lasciarono quindi spazio ad un ambiente
più accogliente, anche se ancora molto diverso da quello attuale. La
valle centrale, infatti, prima di diventare la fascia pianeggiante che conosciamo,
ospitò un vasto lago, di cui si possono vedere i ghiaioni all'estremo
confine occidentale del comune di Nus, in prossimità del villaggio de
La Planta. I reperti umani fanno quindi la loro comparsa sul nostro territorio
intorno, intorno al 3000 avanti Cristo, che per l'Europa occidentale corrisponde
al neolitico. In quest'età, l'uomo, che aveva acquisito la capacità
di coltivare i vegetali, approfittò delle migliorate condizioni climatiche,
quindi poté penetrare all'interno del massiccio alpino. Seguì
quindi il periodo eneolitico, in cui venne scoperta la fusione del bronzo. Attualmente
nessun reperto risalente a tale epoca è mai stato scoperto nel territorio
di Nus, tuttavia non possiamo dimenticare la vicina località di Vollein,
che sovrasta alcuni dei villaggi del nostro comune. Lassù sono venuti
alla luce una necropoli ed un abitato risalenti al tardo neolitico o al primo
eneolitico. Si tratta di un importante ritrovamento, che rivela la presenza,
nelle immediate vicinanze dell'area di nostro interesse, di un insediamento
umano i cui abitanti sicuramente hanno frequentato anche il nostro territorio.
Anche se all'interno del territorio del comune di Nus non sono state ritrovate
tracce di insediamenti di questo periodo, poiché i rinvenimenti archeologici
preistorici e protostorici sono in gran parte casuali, è possibile che
nel futuro si possano fare scoperte di questo genere anche qui. L'insediamento
di Vollein testimonia della presenza umana nella valle centrale e il reperimento
delle sue tracce non è che questione di fortuna.
L'età dei metalli vede invece la comparsa anche sul nostro territorio
di reperti materiali. Si tratta, per esempio, di due armille in bronzo che appartennero
allo studioso valdostano Jules Brocherel. Gli oggetti, dei pesanti bracciali
in bronzo che venivano portati alle caviglie, provengono da Blavy. Essi sono
stati ritrovati casualmente e probabilmente erano stati deposti assieme nella
tomba di un guerriero gallico.L'area a valle dell'abitato di Lignan portava
sin dal medioevo un nome caratteristico. Essa infatti compare nei documenti
dal XV secolo con un appellativo legato a costruzioni riconosciute dai nostri
antenati come una sorta di castelli: entre les deux châteaux, in patois
lé dou tsatë. A cosa si riferiscono queste denominazioni così
caratteristiche e suggestive? Possiamo dire che esse nascondono forse i più
importanti rinvenimenti archeologici avvenuti sinora nel territorio di Nus per
quanto riguarda la preistoria e nascono probabilmente dall'osservazione che
gli uomini del passato hanno fatto dei luoghi, rilevando le caratteristiche
di strutture murarie che vi vedevano. Essi, in base alla propria esperienza,
devono aver assimilato a castelli strutture che non riuscivano a spiegare altrimenti,
ma che per la loro imponenza avevano suscitato il loro interesse. Le ricerche
dei nostri giorni hanno ritrovato ambedue le strutture, ma le hanno messe in
relazione non con il medioevo, ma con la preistoria o la protostoria. Le vestigia
sono poste su due collinette strapiombanti sul vallone di Saint-Barthélemy.Quella
più vicino all'abitato porta le tracce di capanne dell'età del
bronzo. Esse sono disposte intorno ad un masso appuntito collocato sulla cima
della collinetta. Una roccia a poca distanza porta anche le tracce di incisioni
con rappresentazioni schematiche di oranti, cioè di uomini raffiguranti
in atto di pregare con le mani alzate verso il cielo. Il sito non è ancora
stato scavato, ma saggi fatti nell'area hanno messo in luce resti di ceramica
dello stesso periodo delle capanne.Il rinvenimento più imponente è
però costituito dal castelliere sottostante La costruzione è posta
su di un promontorio che si trova più a valle del primo. Esso è
costituito da un ampio perimetro ovale di muratura posto sulla cima dell'altura.
Il suo raggio maggiore misura all'incirca sessanta metri a dimostrare l'importanza
che poteva avere il manufatto alla sua creazione. All'interno della muratura
di contorno si trovano vari ambienti, che, per la maggior parte a pianta radiale,
si appoggiano direttamente al muro esterno. Un locale si distingue tuttavia
dagli altri per la sua pianta quadrata e per le sue dimensioni più importanti.
Per queste sue caratteristiche è quindi ritenuto un ambiente di uso comune,
sorta di santuario o di luogo di riunione. All'estremità del promontorio,
rivolte verso il precipizio sottostante, sporgono ancora tre locali di minori
dimensioni che possono essere interpretati come garitte per le vedette.La funzione
della struttura è abbastanza chiaramente difensiva. Il manufatto domina
in effetti sia l'avvallamento che lo separa dalla retrostante collina, sia la
valle sottostante. Verso il torrente si gode infatti di una eccezionale vista
che dall'alta valle di Saint-Barthélemy si spinge sino all'inizio della
forra che precipita verso la pianura. Ciò avrebbe permesso quindi un
controllo totale degli accessi alla valle ed un perfetta difesa del territorio.
Gli specialisti hanno ipotizzato la presenza del castelliere in relazione allo
sfruttamento minerario della zona. Non lontano da esso sono infatti reperibili
delle aree minerarie che hanno permesso l'estrazione di minerali sino all'epoca
moderna.
L'arrivo dei romani nella Valle d'Aosta portò ad un cambiamento di cultura
materiale e nell'insediamento umano. Una grande strada, la via consolare delle
Gallie, venne creata lungo l'asse centrale della valle e determinò una
nuova localizzazione degli abitati. Sul suo tracciato infatti furono creati
punti di ristoro per i viaggiatori o stazioni di cambio di cavalli che diedero
origine a nuovi paesi. E' il caso di alcune località che ancora oggi
portano un toponimo derivato dalla distanza che separava il luogo dalla città
di Augusta Praetoria. Così troviamo proprio Nus, il cui nome indica una
distanza di nove miglia romane della città. Affiancano il nostro comune
altri paesi il cui nome ha la stessa origine: Diémoz, posto a dieci miglia
da Aosta, Chétoz a sette e Quart a quattro.
Se Nus prende il nome dalla distanza che lo separava da Aosta, è logico
ritenere che il suo abitato si trovasse in prossimità della via romana.
Dove passava dunque tale strada sul nostro territorio? Sinora nessuna traccia
sicura ne è stata trovata. Il tracciato della via consolare è
conosciuto sino a Châtillon, dove esistono ancora i resti del ponte romano
che attraversava il Marmore, ma, più ad occidente, le tracce si perdono
e solo delle ipotesi possono essere fatte sulla sua collocazione. In base ad
esse si suppone che in prossimità di Nus la via percorresse la bassa
collina, grosso modo all'altezza dei villaggi di Rovarey e Plantayes. Da qui
avrebbe potuto raggiungere la quota dell'attuale chiesa parrocchiale per poi
dirigersi in piano verso Mazod e proseguire in direzione di Chétoz, che
come abbiamo già ricordato, prende il nome dal settimo miglio di distanza
da Aosta.
Già nell'antichità si erano ritrovati dei reperti romani a Nus. Ne è un esempio la lucerna illustrata da Roland Viot, uno storico valdostano dell'inizio del 1600, nella sua Chronologie du Duché d'Aouste.
Più recenti sono invece le scoperte, avvenute tra XIX e XX secolo in prossimità del borgo. Ce ne segnala una già Edouard Aubert nella sua Vallée d'Aoste. Egli sostiene che nel 1846, nel corso di scavi nell'area del castello di Pilato, sono state trovate varie medaglie e monete romane tra cui una dell' imperatore Tito (79-81 d.C.), una di Antonino Pio (138-161 d.C.) ed una ancora di Alessandro Severo (222-235 d.C.). L'interesse di queste scoperte nell'area del castello detto di Pilato sta nella possibilità che essi giustifichino la presenza della leggenda che viene tramandata a proposito della fortificazione. Si dice infatti che nella fortificazione abbia soggiornato Pilato durante il viaggio che lo portava in esilio nelle Gallie. La presenza di reperti romani affiorati in periodi antichi avrebbe potuto far nascere nella fantasia popolare il ricordo di un evento che in realtà non è mai accaduto. La tradizione legata al console romano si trova già citata in un'opera storiografica del XVII secolo. Il testo però attribuisce la permanenza di Pilato al castello della collina e non a quello del borgo.
A parte la leggenda di Pilato il reperimento dei diversi resti potrebbe indicare
che sull'area, ora occupata dal castello, fosse presente in periodo romano una
mansio, cioè una specie di albergo per i viaggiatori.
Nel nostro secolo sono venute alla luce altre testimonianze di età romana.
Tra queste citiamo il rinvenimento di resti di un insediamento rurale romano
in prossimità del villaggio di Messigné. Tale scoperta indica
che si erano diffuse anche nel nostro territorio le villae, sorte di fattorie
che costituivano il centro della produzione agricola. D'altronde lo stesso nome
del villaggio si collega a quello di un uomo che, in età romana, sarebbe
stato proprietario della villa. Le proprietà agrarie erano infatti indicate
con il nome del proprietario seguito dal suffissi -anum o -acum. Così
Messigné avrebbe origine da Messigniacum, cioè il fondo di proprietà
di un tal Messinius. Nello stesso modo potrebbero aver un'origine romana Marsan
(da Martianum, il fondo di Martius), Arlian (da Arilianum, fondo di Arilus),
Lignan (da Linianum, fondo di Linius). Potrebbero ugualmente derivare da nomi
di persone del periodo imperiale Clémensod (da Clementius) ed Arlod (ancora
una volta da Arilius come già Arlian). La presenza di molti toponimi
di questa origine indicherebbe una diffusione piuttosto intensa della colonizzazione
del territorio in questo periodo, a partire dalla piana sino a quote abbastanza
elevate. I colonizzatori di epoca romana avrebbero potuto essere spinti verso
luoghi lontani dalla via delle Gallie per motivi precisi. La zona di Lignan,
se è corretta l'ipotesi secondo cui già il castelliere era legato
allo sfruttamento minerario, avrebbe potuto attirarli proprio per le risorse
del suo sottosuolo, ma, come abbiamo detto parlando del castelliere, tutto ciò
potrà essere definito solo con ulteriori ricerche mirate.
TRA CASTELLI E SIGNORI
I Signori
Il territorio di Nus era sottoposto, sin da quando i documenti ci informano della situazione giurisdizionale della zona, ad una sola famiglia che, come gran parte della famiglie nobili valdostane, prese semplicemente il suo nome dal feudo che governava. Per questo motivo la famiglia non è conosciuta altrimenti che con l'appellativo de Nus.
Praticamente per nessuna famiglia nobile della Valle siamo esattamente sicuri di quale sia stata la genesi del potere. Così è anche per la famiglia de Nus. L'unico elemento che è di un certo interesse, pur non esponendo una realtà oggettiva, ma facendo parte dell'immaginario collettivo familiare, è tramandato da Jean-Baptiste de Tillier. Lo storico riferisce infatti che essa avrebbe preso origine da una famiglia senatoriale giunta in Valle d'Aosta dopo la conquista di Terenzio Varrone. In appoggio alla teoria di questa origine romana de Tillier afferma che all'inizio i de Nus non portavano lo stemma che è oggi conosciuto, ma semplicemente uno scudo a campo rosso con banda d'argento su cui spiccavano le lettere "S.P.Q.R.". Lo scrittore interpreta tale sigla come Senatus populusque romanus, a conferma della nascita senatoriale della stirpe. Secondo la sua opera genealogica, il simbolo araldico sarebbe stato scolpito su di una lastra di marmo all'ingresso del castello, ma, forse nei secoli seguiti alla sua opera, esso è scomparso. Comunque, a partire da quando abbiamo un riscontro documentario, lo stemma signorile risulta essere costituito da un campo rosso in cui si alternano, a tre a tre, sei rose d'argento e sei gigli d'oro.
La stirpe signorile di Nus vide un alternarsi di vicende assai complesse. All'inizio la famiglia parve espandersi in molte branche diverse, che vennero ad esercitare assieme, nella forma della cosignoria, il potere sul loro territorio. Nel diciottesimo secolo però nuovamente tutte le branche si concentrarono in una sola. Erano infatti venuti a mancare, come nel caso di molte altre famiglie nobili valdostane, i figli maschi e di conseguenza la discendenza. Tutto finì quindi nelle mani di François-René, unico maschio della sua generazione. Per i de Nus vigeva infatti la norma, che riguardava anche gli altri signori valdostani, per cui non era possibile che alle figlie venisse trasmesso un feudo nobile.
Georges-Philibert de Nus, figlio di François-René, morì avendo come erede solo una figlia, Gabrielle-Madeleine, quindi il feudo avrebbe dovuto tornare alla corona, nonostante la disposizione testamentaria del padre che la nominava erede universale in assenza di maschi. La situazione fu risolta in tempi relativamente brevi. I beni della signoria di Nus vennero dapprima posti sotto sequestro giudiziario nel 1736, alla morte dell'ultimo signore, poi furono dichiarati di appartenenza del sovrano nel 1741. Ad un'ulteriore ricorso presentato dalla signora di Nus fece seguito il sedici dicembre 1743 un decreto in cui si stabiliva che il sovrano vendeva ed infeudava alla marchesa Scarampi di Nus il luogo, feudo e giurisdizioni di Nus. La concessione quindi, riconosceva, dietro pagamento di diciassettemila cinquecento lire, il diritto di Gabrielle-Madeleine di succedere nei feudi del padre.
La signora di Nus aveva sposato però nel 1732 il marchese Giuseppe Galeazzo Scarampi del Pruneto, di Roccaverano e del Carretto. A questo punto la storia della famiglia de Nus propriamente detta si chiude. Per i pochi decenni che separano la reinfeudazione della signoria dall'abolizione della feudalità alla fine del diciottesimo secolo, i signori di Nus si presentano con il nome di Scarampi, di cui restano ancora dei discendenti, nella zona di origine della famiglia, nel basso Piemonte.